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La medicina omeopatica, medicina della complessità
Per una visione Sistemica
Dott. Giovanni Marotta
03/09/2024
Complessità e sistemica
L’apertura alla prospettiva della complessità ha avviato, negli ultimi decenni, una ricerca feconda in ambito scientifico. Tale apertura ha maturato fortunatamente un distacco dalla tradizione oggettivista e riduzionista che ha permeato di sé il pensiero occidentale a partire dal 1800, ma che tuttora affligge il pensiero medico.
Il pensiero della complessità – che non è peraltro limitato alle scienze biologiche e mediche – costituisce un nuovo paradigma, che orienta anche la ricerca di strumenti cognitivi più consoni alla comprensione degli organismi viventi.
Non a caso, nella seconda metà del 1900, si è sviluppato il pensiero sistemico per affrontare il problema della complessità, ricercando un approccio metodologico interdisciplinare per penetrarla e verificarne i modelli.
La teoria dei sistemi (Systemics o Sistemica) nasce dall’incontro di varie branche del sapere (Filosofiche: ontologiche e epistemologiche, biologiche, fisiche, ingegneristiche etc.). Il suo fine è di comprendere le proprietà di un sistema nella sua interezza e, pur utilizzando strumenti analitici, mira a una visione più unitaria della complessità di funzionamento del sistema stesso.
Fu fondata intorno agli anni ‘50 da Ludwig von Bertalanffy ed altri e ha trovato campo di applicazione in tutte le scienze, comprese quelle della comunicazione, educative, sociologiche, economiche, psicologiche e biologiche, ma ha penetrato molto meno di sè il pensiero e la pratica medica, tranne alcune ottime eccezioni.
Il pensiero sistemico
È importante sottolineare i fondamenti del pensiero sistemico in particolar modo nel campo dei sistemi biologici.
Scrive Alberto Panza: “…Proprio sul versante della complessità organizzata si è verificato in questi anni un importante mutamento di paradigma: la Teoria dei sistemi autopoietici ha privilegiato un vertice prospettico per cui i sistemi viventi vengono considerati proprio sulla base della rete di relazioni che li determinano: “la relazione è la stoffa del sistema”, hanno scritto Humberto Maturana e Francisco Varela nel loro testo più noto: Autopoiesi e cognizione, nel quale si sostiene che l’approccio tradizionale delle scienze biologiche, basato sulla discriminazione sempre più fine di procedimenti parcellizzati, finiva per annichilire il fenomeno con il quale ci si poneva in relazione, dal momento che la caratteristica fondamentale del vivente è quella di essere un sistema interagente (H.R. Maturana, F.J. Varela (1980), Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente. Venezia, Marsilio, 2001, pp.114-115).
Autopoiesi equivale dunque a organizzazione: tutto ciò che vive è strutturato: se la disorganizzazione supera una soglia critica il sistema si de-struttura e i suoi componenti rientrano “in gioco”, in un ciclo di organizzazione di diversi aggregati. Ma la struttura è plastica e dinamica, dunque si può parlare di un sistema nei termini di una struttura coesa ma flessibile, capace di auto-organizzarsi e, entro certi limiti, di ri-organizzarsi. Ogni sistema vivente è in qualche modo capace di auto-osservazione, in quanto è caratterizzato da un assetto (relativamente) stabile e tende a mantenerlo, integrando le eventuali perturbazioni, contemperando cioè le due dimensioni fondamentali del vivente: continuità e discontinuità…” Alberto Panza in Praxis Mangialavori-Marotta pagg 56 e seguenti. Ed. Matrix.
Secondo Bateson ogni sistema vivente è tale in quanto ha capacità di organizzarsi. Possiamo definire ‘mente’ tale capacita organizzativa. In tal senso le piante, gli animali, gli esseri umani hanno tutti una ‘mente’.
La visione omeopatica include pertanto non solo l’’antropos’ ma l’essere vivente in generale. La omeopatia veterinaria si rivela un ottimo strumento di cura.
La Medicina Omeopatica scienza sistemica
Il fondatore, Samuel Hahnemann, pone le basi del pensiero omeopatico nel 1796 e struttura una forma di medicina che può definirsi sistemica ante litteram.
Lo è per due importanti ragioni. La prima perché i rimedi su cui si basa la terapia omeopatica sono sperimentati esclusivamente sull’uomo, che si è espresso quindi non solo sul piano organico, ma sistemico generale, producendo una gran mole di dati psichici, comportamentali e soprattutto connessi a peculiari vissuti corporei.
La conoscenza delle centinaia di sostanze naturali, che ora costituiscono il patrimonio terapeutico della nostra Materia medica, deriva infatti dalle risposte di numerosi sperimentatori, che hanno assunto tali sostanze in dosi non tossiche (provings) e che hanno generato sia sintomi organici, espressioni di determinate patologie, sia sintomi che riguardano disagi animici, problematiche esistenziali e relazionali; inoltre una grande quantità di sensazioni corporee e di modalità di risposta personali e caratteristiche.
Potremmo quindi considerare il rimedio omeopatico, ricco di tante manifestazioni sintomatiche sui vari registri dell’antropos, un piccolo modello antropologico (Alberto Panza).
La seconda ragione è che il nostro predecessore ha operato chiaramente nell’ambito di una tradizione spagirico-alchemica mitteleuropea, che aveva ben chiara sia la complessa interazione dell’individuo con l’ambiente, sia la capacità di detto individuo di autodeterminarsi – entro certi limiti – e di autoregolarsi dietro la spinta di stimoli esterni e interni.
Il principio che è il fondamento della Medicina Omeopatica – Similia Similibus curentur – presuppone invero la capacità di autoregolazione di un sistema vivente, specie se opportunamente stimolato da una informazione adeguata (il rimedio omeopatico).
Tanto meglio si attivano i processi di auto ri-organizzazione e di ri-equilibrio del sistema-individuo quanto più l’informazione somministrata è corretta (rimedio Simillimum).
Nel suo testo chiave della teoria omeopatica – l’Organon o arte di guarire le malattie – si intuisce che Samuel Hahnemann ha molto chiaro questo presupposto: che è la mente del sistema vivente, opportunamente stimolata da una informazione precisa, a mettere in moto processi di auto-regolazione e ri-organizzazione e non è il farmaco-sostanza ponderale a generare la guarigione. Siamo ben al di là della concezione meccanicista della biologia molecolare, entriamo invece nel campo dell’autopoiesi dei sistemi viventi.
Hahnemann, elaborando un modello terapeutico basato rigorosamente sull’osservazione dell’uomo, non ha fatto altro che far emergere l’antropos nella sua complessità. Non ha scisso – e rimosso – dai dati sperimentali raccolti dalle sue osservazioni gli elementi soggettivi, che rappresentano invece la croce e il disturbo delle sperimentazioni allopatiche. Queste ultime, mirate a selezionare l’azione di una sostanza su una determinata funzione, nello sforzo di renderla ripetibile con certezza e efficacia su tutti i soggetti, tendono ad escludere dal campo di osservazione le reazioni soggettive e a rendere il campo forzosamente oggettivo.
Hahnemann di contro – molto modernamente alla luce del pensiero sistemico – ha sostenuto l’importanza della soggettività e ne ha fatto uno strumento prezioso nella individuazione sia delle caratteristiche della persona sia del rimedio più adatto ad attivarne le risorse.
La Medicina scienza sistemica per eccellenza
In realtà la Medicina, quale essa sia, non può che essere sistemica. Lo è in tutte le culture, basti solo pensare alla Medicina cinese. Anche i buoni clinici allopati hanno sempre avuto una visione generale e sistemica e ne hanno applicato i princìpi nella pratica con i loro pazienti. Ben conoscevano ad esempio, in epoca pre-laboratoristica, alcune relazioni tra determinate manifestazioni patologiche e il cattivo funzionamento di organi interni. La “buona clinica” di una volta mirava a che il medico fosse un buon ‘internista’ prima di specializzarsi in qualsiasi distretto corporeo.
Nell’ambito della Scienza medica attuale esistono ampi esempi di pensiero sistemico che mira a visioni unitarie quali quelle fornite dalla psico-immuno-neuro-endocrinologia, dallo studio della complessità delle comunicazioni intra e inter-cellulari, dei meccanismi e dei processi conoscitivi del sistema nervoso, del funzionamento del sistema immunitario etc.
Problematiche inerenti al pensiero allopatico e alla scienza
Purtuttavia il pensiero allopatico è ancora fortemente analitico e la tendenza a parcellizzare le singole funzioni, soprattutto in campo farmacologico, è molto forte.
Anche sul piano concettuale l’inarrestabile tendenza alla iper-specializzazione ostacola a fortiori una visione clinica unitaria.
Inoltre la tendenza a ‘combattere’ una determinata patologia in atto – sottolineiamo la metafora bellica che ispira molti degli interventi di tipo allopatico – non sempre comporta la comprensione del senso che quel determinato disturbo ha per un dato individuo, né vi è lo spazio di pensiero necessario a prendere in considerazione se quell’individuo ha la possibilità, le risorse, se non addirittura la disponibilità a essere curato.
Con ciò nulla vogliamo togliere ai risultati e alla sempre maggiore perfezione tecnica di alcuni interventi allopatici, molto spesso straordinariamente utili al sostegno della vita del malato, soprattutto del suo corpo fisico, ma la tendenza a prendere più in considerazione l’uomo-macchina rispetto ai suoi vissuti interiori rischia di rendere riduttivo l’approccio terapeutico, specie quando il disagio o la malattia mettono in gioco altre strutture dell’antropos che non il corpo fisico.
Purtroppo però tutta la scienza ufficiale – e non solo la Medicina – è ormai in gran parte “piattamente conforme all’idea del dominio umano sulla Natura come unica possibilità di essere al mondo” (Michela Pereira). La volontà di modificare e di forzare la Natura, che permea di sé la ricerca scientifica contemporanea, spinta da interessi economici di enorme portata, che investe tutti i settori di applicazione, dalla agricoltura alla zootecnia e alla medicina, non è centrata sulla conoscenza della complessità del vivente e in particolare dell’antropos e dei suoi vari livelli di esistenza. Ne sono conseguenza gli insulti costanti all’equilibrio degli ecosistemi per quanto riguarda l’ambiente e, per quanto riguarda l’antropos, il misconoscimento di alcuni livelli fondamentali del suo percorso esistenziale.
La considerazione di alcuni di questi livelli, animici e spirituali, non dovrebbe mai esulare dalla Medicina quale essa sia (convenzionale e non) se intendiamo l’atto medico mirato al benessere di un organismo vivente nella sua interezza. Risulta in ogni caso dolorosamente carente un atto terapeutico che non dia il giusto valore al complesso della corporeità, ai vissuti emozionali e affettivi, alla qualità delle relazioni, in poche parole alla buona integrazione di elementi e di funzioni extra organiche che caratterizzano e vivificano il sistema “uomo”.
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