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Le mie scelte di medico
I percorsi per la guarigione
Dott. Giovanni Marotta
05/09/2024
Il mio lavoro di medico omeopatico prevede una visione sistemica dell’organizzazione psico-fisica delle persone che curo. Mi è così possibile avere una idea della complessità del sistema vivente-uomo e intuirne i punti di forza e di debolezza, le risorse costruttive e i processi distruttivi, le dinamiche auto-poietiche e le possibilità o le difficoltà di ri-organizzazione del sistema, sia che tali dinamiche percorrano i piani organici o che mettano in vibrazione risonanze animiche, sia che si manifestino a livello di "corporeità" o che si manifestino nei comportamenti e nei giochi relazionali.
È possibile farsi una idea abbastanza precisa del grado di vulnerabilità e di resilienza di un determinato sistema, se si percepisce il gioco complesso di tali dinamiche. Tutta questa ricerca nasce dalla mia scelta di essere Medico Omeopata è alimentata costantemente dalla necessità di trovare, per ciascuna delle persone che ho in cura, un Rimedio Omeopatico (detto Simillimum) che, per poter avere il massimo dell'efficacia terapeutica, occorre sia perfettamente giustapponibile alle modalità di funzionamento o disfunzionamento di quel determinato "sistema-paziente"
In che modo? A questo punto – per meglio comprendere – è d’uopo esprimere, sia pure in estrema sintesi, l’apporto del pensiero omeopatico. L’omeopatia è una medicina che presenta caratteristiche e potenzialità curative interessanti e peculiari nel vasto panorama del pensiero medico, sia antico che odierno, e nell’ambito delle numerosissime Medicine e tecniche terapeutiche praticate sul nostro pianeta. Caratteristiche e potenzialità terapeutiche che ne fanno una disciplina a sé, financo nel mondo della Fitoterapia e della Spagiria tradizionali, ancor più a sé rispetto alla Fitoterapia moderna. Se poi compariamo i paradigmi della Medicina omeopatica a quelli del pensiero medico universitario, cosiddetto allopatico o convenzionale, siamo in qualche modo agli antipodi.
Alla base del pensiero medico allopatico c’è un modello di stampo esorcistico-paranoide: la malattia come "alienità" da combattere (anti-biotici, anti-infiammatori, anti-istaminici, anti-blastici, etc.), occorre "difendersi dal nemico", l'"alieno", per cui le metafore spesso impiegate: "combattere" la malattia, "bombardare il tumore", tonificare le "difese" dell’organismo, etc. sono molto spesso tratte dal linguaggio bellico. I parametri fisiologici vanno normalizzati a tutti i costi, senza chiedersi se la loro alterazione abbia un qualche senso per la persona o nasca da qualche difficoltà esistenziale.
Difficilmente si impiegano, nel trattamento di un malato, frasi come: "occorre attivare le risorse del paziente", "interroghiamoci su potenziali connessioni dei sintomi con i vissuti personali e relazionali della persona", "valutiamo i percorsi per aiutare il malato a assumere – e possibilmente integrare – aspetti di difficile gestione sul piano emotivo e affettivo"... Credo sia oggi fondamentale acquisire una visione della Salute e della Malattia non dominata dal principio di causalità lineare, oggi vieppiù imperante nel pensiero medico allopatico e purtroppo sempre più capillarmente diffuso nell’insegnamento ai giovani medici. La causalità lineare nasce dalle osservazioni della fisica Newtoniana, ma mal si adatta alla Relatività Quantistica e tanto meno al funzionamento dei sistemi biologici. Si auspicherebbe quindi un approccio alla malattia che tenga conto della complessa rete di funzioni interdipendenti che rendono vitale un organismo vivente o – espresso in termini sistemici – un approccio terapeutico basato su un’analisi delle emergenze sintomatiche, in funzione della complessità psico-fisica e relazionale della persona.
Dunque: "il malato e non la malattia!", sottolineava Samuel Hahnemann, medico tedesco di Sassonia, oltre 200 anni fa (nato nel 1755). Si dice che Hahnemann abbia "scoperto" i princìpi dell’Omeopatia traducendo la materia medica del Cullen, dove si evinceva che operai che lavoravano all’estrazione della corteccia della China si ammalavano di febbri ricorrenti, del tutto analoghe alle febbri malariche, quelle stesse che il chinino curava mirabilmente, donde il principio cardine della medicina omeopatica: Similia Similibus Curentur. Tale principio enunciato dal fondatore della Omeopatia, peraltro esperto spagirista, percorre in realtà tutto il pensiero medico fin dai tempi di Ippocrate e dei templi egizi è contemplato nella filosofia spagirica e alchemica da millenni: curare con sostanze potenzialmente tossiche – venenum versus venenum – non è certo prerogativa della sola Omeopatia.
Il merito di Hahnemann è essere riuscito a rendere ogni sostanza (più o meno fortemente tossica) un prezioso strumento terapeutico, diluendole a livello ultramolecolare (vedi Diluizioni e Potenze omeopatiche che superano il numero di Avogadro di molecole presenti in una soluzione) e stabilendo con precisione come vanno somministrate per ottenere il massimo della efficacia curativa (vedi patogenesie, materia medica e applicazione della legge di similitudine). Per entrare nel vivo del discorso occorre sapere che la legge di similitudine può essere applicata a vari livelli e su diverse componenti organiche e tessutali. Alcune sostanze ad esempio hanno un "tropismo" elevato per alcuni organi e apparati e possono essere utilizzati per migliorare le patologie degli stessi: ad esempio il Carduus Marianus, il Taraxacum, il Chelidonium, la Juglans regia, il Lycopodium, la Nux vomica hanno un tropismo epato-digestivo e sono dotati della facoltà di stimolare la cellula epatica e la funzione biliare. Possiamo fare analoghi esempi di tropismo tessutale e organico per vari organi e apparati: per la cute come per l’albero bronchiale, per le vie urinarie come per le mucose intestinali, e elencare rimedi conosciuti per tale tropismo.
È prassi comune oggi, per le case farmaceutiche omeopatiche, assemblare in uno stesso prodotto, detto "complesso", varie sostanze dotate di azione valida su determinati organi e patologie, allo scopo di incrementare, grazie alla sinergia del loro apporto, l’efficacia terapeutica. Ma se vogliamo realizzare una omeopatia di precisione, che è lo scopo del medico omeopatico detto "unicista", cercando di applicare un solo rimedio, detto Simillimum, caratteristico della complessità della persona, non dirigeremo la nostra azione verso il singolo organo o tessuto, ma al Sistema-Paziente nel suo complesso. Penetrare e conoscere tale complessità è un lungo e interessante percorso che prevede uno studio, sia del paziente che della materia medica omeopatica, attuato con modalità sistemiche. Ad esempio il soggetto Nux vomica è ben diverso dal paziente Chelidonium o da quello Lycopodium, ancora di più dal soggetto Taraxacum o Carduus marianus e dagli altri citati.
Dato il breve tempo a disposizione accennerò solo a Nux vomica e in grandi linee. Strycnos nux vomica è una pianta delle foreste equatoriali, che produce alcuni alcaloidi stricninici, sostanze a effetto spastico, la cui assunzione provoca nell’essere animale spiccata ipersensibilità e irritabilità. Da ciò deriva lo spasmo come risposta difensiva primaria (contrazione della muscolatura sia liscia che striata), iper-reflessia e iperestesia generali. Sul piano clinico: insonnia, cefalee e emicranie, iper-tensione, ritenzione urinaria (spasmo degli sfinteri), gastriti, coliti, anche ulcerose, stitichezza con emorroidi dolorose per spasmo dello sfintere anale, asma da spasmo bronchiale, etc. La reattività spastica non può durare in eterno: nella economia dei sistemi viventi, le risposte steniche-contrattive tendono prima o poi a esaurirsi, lasciando il posto a una fase ipotonica di rilasciamento, che porta clinicamente a condizioni di grave debolezza fino alla paralisi, come avviene anche in Nux vomica nelle fasi finali di scompenso. Nux, in dose omeopatica, risulta utile in ogni forma di intossicazione digestiva, nell’abuso di caffè, alcool, tabacco, etc. Molte persone la assumono regolarmente dopo pasti e libagioni copiose.
Ma a quale soggetto la nostra pianta farà particolarmente bene? A coloro che mostrano una "personalità di tipo Nux vomica". Si tratta di soggetti molto reattivi, iper-sensibili a tutti i fattori ambientali disturbanti (es. rumori, luci, suoni, voci, etc.), fattori che vivono amplificati a causa della loro iperestesia. Ma la suscettibilità si estende a qualsiasi vissuto soggettivo di vessazione e di ingiustizia, perpetrata a loro stessi e agli altri, soprattutto verso i deboli e gli indifesi: di solito Nux vomica si fa paladino degli oppressi, lotta attivamente contro le ingiustizie sociali; nella sostanza non dimentica torti subìti, veri o presunti, tende a accumulare rancore e a covare a lungo pensieri vendicativi. In fase di compenso è persona positiva, attiva, costruttiva, ottimo manager, dal motto "ogni cosa va fatta presto e bene", è di esempio per i dipendenti per la mole e l’efficacia del lavoro che è in grado di svolgere e mal tollera chi non presta analoga sollecitudine nei confronti di obiettivi realizzativi. Non lesina rimproveri e arrabbiature verso chi non svolge efficientemente i propri compiti. Difficilmente perde il controllo delle situazioni: lo sanno bene i veterinari che contengono le crisi epilettiche di animali grazie a Nux vomica, quando il cane o il gatto in questione resta vigile anche in piena crisi convulsiva!!! Faccio notare che le possibili sintomatologie fisiche ascrivibili al rimedio (asma, cefalea, crisi emorroidarie, gastriti, coliti ulcerose, tenesmi rettali o vescicali) per essere curate da Nux vomica debbono inserisi nel quadro più ampio di iperestesia e di iper-reattività che caratterizza tutto il "Sistema". Il rimedio può funzionare per una intossicazione o un mal di testa anche in un soggetto che non è Nux vomica tipica, ma funzionerà in tal caso solo parzialmente e per brevi periodi. Sarà invece risolutivo in un paziente Nux vomica-Simillimum: in tal caso è dirimente, per la corretta prescrizione, evidenziare la caratteristica vulnerabilità, per cui ogni tipo di stimolo esterno si trasforma in una "offesa" a tutto il sistema e implica, di rimando, quella serie di contraccolpi emotivi, affettivi e di strategie reattive sul piano comportamentale e relazionale che abbiamo citato. Tale vulnerabilità è nettamente "strutturale" in quanto determina a cascata una serie di comportamenti reattivi, alcuni dei quali altrettanto caratteristici, che vanno a costituire quello che in matematica possiamo definire come "un insieme sintomatologico".
Occorre dire che, a complicare ulteriormente l’applicazione della legge dei Simili nella pratica terapeutica omeopatica, si verifica che, nella realtà quotidiana, incontreremo più aspetti della stessa Nux vomica: la sintomatologia sarà più o meno marcata a seconda delle risorse che ciascun individuo può mettere in campo, a seconda quindi delle possibilità di compenso o di scompenso del "Sistema", del grado di vulnerabilità del soggetto e del potere di incidenza e di pervasività delle noxae patogene esterne. Nux vomica mostrerà aspetti diversi anche a seconda delle varie fasi della vita e dei processi evolutivi di ciascun individuo. Ad esempio la caratteristica tendenza reattiva può essere canalizzata in una attività intensa e realizzativa. Le personalità Nux vomica possono raggiungere – grazie al loro grande impegno personale – livelli di gratificazione, nelle loro occupazioni, altamente soddisfacente. Occorre dire che tale iperattività è spesso sorretta da un uso – a volte cospicuo – di sostanze stimolanti e eccitanti, di solito caffeina e caffeino-simili, difficilmente sostanze drogali, dato che Nux vomica tende a mantenere efficiente il controllo del suo "Sistema". Di contro un’ostacolo non sormontabile, una vessazione, un torto subìto, la disorganizzazione e le chiare ingiustizie dell’ambiente circostante, scompensano facilmente il soggetto Nux vomica, creando le emergenze sintomatiche tipiche del rimedio. Se consideriamo un Alfa e un Omega per ogni sostanza utilizzata omeopaticamente, in Nux vomica, dalla reattività iniziale, di cui resta sempre e comunque una traccia cospicua, riscontrabile con una anamnesi accurata, si passa alla perdita finale di energie, in cui il paziente appare molto meno reattivo. Nelle fasi più scompensate la tendenza al controllo, che è positiva e funzionale alla precisione esecutiva, vira dal semplice controllo lucido a tratti ossessivo-compulsivi. L’ipersensensibilità e la vulnerabilità agli stimoli, inizialmente generica e non specifica, può ingenerare vere e proprie fantasie paranoidi (che direi sono comunque piuttosto rare). Più che altro è dominante la paura di una sottrazione (vedi ad esempio un sintomo di materia medica: Mind; Delusions, imaginations; sold; bed, some one has sold his / allucinazione che qualcuno gli abbia venduto il suo letto). Nelle fasi più scompensate gli elementi rancorosi e vendicativi possono avere ampio campo. La materia medica riporta la paura di uccidere e di uccidersi alla vista di coltelli e di lame, che può raggiungere livelli perturbanti.
Del tutto diversa è l’organizzazione del "Sistema-lycopodium" e di tutti gli altri rimedi su citati, pur avendo tutti un cospicuo tropismo epato-biliare.
Per far meglio comprendere il nostro lavoro mi permetto solo un accenno a altri due rimedi, cavalli di battaglia della omeopatia: Ignatia amara e Arnica. Pur appartenendo alla stessa famiglia botanica di Nux Vomica (Logoniaceae) e pur producendo analoghe sostanze stricnino-simili, la Stricnos-Ignatiae è un rimedio nettamente diverso. Invero l’iper-reattività e iper-sensitività di Ignatia sono proverbiali, ma, a differenza di Nux vomica, l’insorgenza sintomatica assume modi francamente isteriformi, i punti di vulnerabilità risiedono in un nucleo nevrotico di "proibizione" e di una difficile integrazione di alcuni vissuti istintuali. L’Arnica, che è ormai superdiffusa tra grandi e piccini in occasione di traumi, agisce in qualità di pianta vulnerario-riparativa ("vulnus" latino = ferita e, per estensione: offesa). L’applicazione pratica di Arnica è dunque tessutale, sintomatica sulla base di una noxa patogena esterna (il trauma).
Ma c’è un individuo Arnica-Simillimum? Sì e è importante saperlo: si tratta di un soggetto molto sensibile al "vulnus", ma non legato alla iperestesia sensoriale come in Nux vomica. Nel caso di Arnica il vulnus è qualsiasi condizione che metta in pericolo la coesione e l’integrità del sistema: un trauma fisico, una febbre che ti coglie improvvisa, una malattia che ti "colpisce" l’idea di poter essere ferito o percosso. La morte stessa rappresenta un vulnus irrimediabile e spaventoso. È evidente che tale pericolo connota l’antropos in qualsiasi latitudine e epoca storica, ma per Arnica e le piante "vulnerarie" della stessa famiglia botanica (Compositae: Calendula, Achillea Millefolium, Bellis perennis che è la nostra margherita dei prati, camomilla e altre) l’angoscia di non riuscire a mantenere la coesione del proprio Sistema è tanto perturbante quanto profondamente inconscia e assume un ruolo egemone nella vita di questi individui. Per fronteggiare tale nucleo di vulnerabilità il soggetto Arnica mette in modo strategie difensive basate sul proprio "potere personale", della serie: "la malattia non mi avrà!", sulla negazione della stessa e sulla rimozione di qualsiasi forma di debolezza (nella famiglia delle compositae troviamo molti Iron men). Nella realtà quotidiana saranno soggetti piuttosto di potere e conservatori, pronti a ripristinare l’ordine perduto, su qualsiasi piano.
A questo punto, con questi pur rapidissimi e decisamente non esaustivi accenni, possiamo comprendere che il rimedio omeopatico è in realtà un vero e proprio "piccolo modello antropologico". Descrive cioè le numerosissime manifestazioni dell’antropos, che, a partire dai nuclei di vulnerabilità, si raccoglie in difesa o elabora le più varie strategie difensive, siano esse disadattative, adattative, compensative o riparative. La "corporeità" partecipa attivamente a questa complessità dinamica in un continuo gioco "contrappuntistico" in cui le note dei vari sistemi e sottosistemi, pur suonando la loro linea musicale specifica, si incontrano generando configurazioni, armoniche o disarmoniche, a costituire l’opera complessa che è la Vita.
Spero di aver dato una idea della possibilità di "percorso" che si schiude allorché il rimedio omeopatico viene prescritto nei termini di un approccio consapevole e curativo alla "vulnerabilità dell’antropos" e non con intenti meramente sintomatici, pur non essendo tali approcci sintomatici affatto disprezzabili. La vastissima materia medica omeopatica, che raccoglie centinaia e centinaia di rimedi, copre il vasto campo del disagio e della sofferenza psichica: dai temi di abbandono alle gravi ferite narcistiche, dalle rabbie distruttive agli eccessi oblativi, dal ritiro depressivo all’iperattività patologica, solo per citare alcuni dei campi di applicazione. E in tutto questo i sintomi somatici vengono presi in considerazione sia dal punto di vista strettamente medico, per aiutare il paziente a superarli, con i mezzi terapeutici più adeguati (senza fideismi naturistici ideologici) ma anche per iscriverli in un più ampio percorso di consapevolezza e di ricerca di senso.
Il mio intento di medico omeopatico mira a sostenere "fisicamente" l’individuo e al tempo stesso di stimolare una ri-organizzazione del sistema nel suo complesso. Il rimedio omeopatico quando ben scelto, proprio in base alle linee strutturali di un essere vivente, ha la possibilità di agire a livello informativo stimolando l’organismo a riformulare la propria reazione di fronte ad una condizione di funzionamento dell’organismo che – analogicamente – possiamo definire di tipo “tossica”.
Personalmente e parallelamente cerco di impostare un percorso di consapevolezza, urgente laddove alcuni condizionamenti, antichi, profondi, pervasivi, soffocano la libera espressione delle potenzialità dell’individuo o lo confinano in una patologia franca.
Il rimedio omeopatico ben mirato può svolgere un ruolo positivo nel lavoro di de-condizionamento. È uno strumento utile, non panacea, non sostituisce ma accompagna e favorisce il percorso.