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Requisiti per una Medicina Integrata
Interdisciplinarietà - Ascolto - Lavoro in Rete
Dott. Giovanni Marotta
06/09/2024
L’azione medica è il frutto di un lavoro integrato tra diverse conoscenze del sapere.
Le conoscenze specialistiche sono e restano fondamentali. Oggi non esiste il tuttologo e le consulenze del medico specialista consentono una visione approfondita di una determinata condizione patologica che il medico generico, pur aggiornato e esperto in molti campi, non sempre può avere.
È pur vero che la iper-specializzazione ha contribuito fortemente – dolente nota – alla parcellizzazione del sapere medico. Se ciò è mediabile sul piano teorico grazie a confronti scientifici costanti, le ripercussioni sul piano clinico non sempre sono ottimali, per cui un paziente, specie se portatore di poli-patologie, come di frequente riscontro nell’anziano, può trovarsi disorientato a gestire più prescrizioni contemporaneamente, non sempre perfettamente coordinate tra loro. Il paziente, a nostra esperienza, avverte moltissimo la necessità di una figura che tenga le fila del percorso curativo e si sente molto sollevato quando sente di potersi affidare a un terapeuta che realizza una visione della complessità delle sue problematiche e sa poi indirizzarlo dallo specialista più idoneo per le singole emergenze.
L’apporto psicologico
In una visione di Medicina Integrata l’apporto del pensiero psicologico e soprattutto psico-analitico è fondamentale. Non tanto un pensiero vetero analitico e vetero psico-somatico, bensì rinnovato dall’evoluzione che c’è stata in questi ultimi decenni e che guarda non solo ai "traumi psichici" quanto alla complessa organizzazione dei vissuti corporei e animici.
Nella idea di Medicina Integrata il paziente è una persona che, oltre a manifestare sintomi, entra in campo con tutti i suoi vissuti: corporei, psichici, affettivi, relazionali. Ciò è vero anche nelle condizioni più estreme, in cui le problematiche fisiche sono soverchianti e richiedono interventi urgenti rianimativi o chirurgici: anche in tal caso i vissuti del malato sono sempre attivi e possono avere un peso nel successo o nell’insuccesso terapeutico, al di là del fatto che gli interventi messi in atto siano tecnicamente perfetti.
Ma il valore di considerare i vissuti del paziente è evidente in qualsiasi condizione di malattia, non fosse altro per lenire il disagio e la sofferenza che la malattia produce nell’intimità della persona. Ancora più evidente se ci si rende conto che alcune condizioni di sofferenza, anche somatiche, sono generate dalla difficile gestione di aspetti emotivi, affettivi, relazionali, realizzativi. Un pensiero psico-analitico particolarmente attento al vissuto della corporeità, nell’ottica di affrontare i problemi di un malato in modo "sistemico", offre notevoli contributi.
Le terapie corporee
Un altro pilastro del percorso terapeutico sistemico sono le terapie corporee. Mi riferisco a tutte quelle terapie basate sull’ascolto delle sensazioni e delle percezioni. Non mi riferisco chiaramente a quelle in cui prevale l’intervento meccanicistico.
Tali terapie hanno accesso diretto al vissuto della corporeità. I terapeuti del corpo, i più preparati e i più capaci di ascolto, colgono anche i nessi con altri vissuti interiori. Purtroppo queste preziose esperienze di ascolto terapeutico, cariche di significato, non sempre trovano le parole per essere espresse e comunicate, né dal paziente né dallo stesso terapeuta corporeo, sia esso osteopata, posturologo, riabilitatore. Tanto meno la classe medica mostra molto interesse ad ascoltarle, venendo a mancare l’importante raccordo tra parti del sé di un individuo, raccordo fondante di un vero percorso terapeutico interdisciplinare. Lo sforzo di ‘integrazione’ passa anche per l’elaborazione di registri di linguaggio utili per comunicare tra paziente e terapeuta e tra i terapeuti tra loro.
Della Medicina Omeopatica abbiamo riferito in altri articoli, come medicina sistemica che da sempre integra i vissuti corporei con quelli animici.
Nell’ottica della integrazione non cesseremo di porre l’accento e di stimolare un costante confronto non solo con la medicina convenzionale, ma anche tra le terapie non convenzionali. Tutte possono apportare un notevole contributo alla comprensione sistemica di un paziente, purché sfuggano al pericolo della autoreferenzialità e si confrontino costantemente con il necessario spirito interdisciplinare.
L’"ascolto"
L’"ascolto" è l’inizio del discorso: alla base di qualsiasi intervento terapeutico vi è l’"ascolto": l’"ascolto" dei problemi e dei bisogni di ogni persona è fondante.
L’attenzione del terapeuta non dovrebbe essere indirizzata solo al piano strettamente clinico, ma anche alle condizioni di vita del paziente, soprattutto nel caso di vissuti di sofferenza importanti.
L’"ascolto" è indirizzato alla ricerca di fattori che possono scatenare o aggravare il disagio e dei fattori che possono guarirlo o migliorarlo.
La nostra esperienza terapeutica ci ha reso edotti delle difficoltà che molte persone incontrano nel conoscere e nell’attivare le proprie risorse personali. Spesso il ‘corpo’ o la propria psiche sono ‘questi sconosciuti’ e non sempre si riesce a trovare la chiave dei propri equilibri dinamici.
L’"ascolto" perciò non è utile solo al terapeuta per cogliere il maggior numero di elementi necessari alla diagnosi e alla cura, ma anche alla persona che soffre, affinché si metta nella condizione di ‘sentire’, di ‘percepire’, di comprendere se stesso.
Se il terapeuta "ascolta" e "si ascolta", anche il paziente "si ascolta" e "ascolta".
Dall’ascolto nasce un "sapere", un sapere che è quello di chi desidera essere curato e di chi desidera curare. Un sapere che supera la semplice somma dei saperi delle parti.
Poiché è nostra precisa convinzione che tra i fattori terapeutici più importanti vi siano le risorse interiori che ogni persona possiede, sia a livello corporeo che psichico, l’"ascolto" e la terapia devono mirare a conoscere e a tonificare tali le risorse.
Il lavoro in Rete. L’operatività dei terapeuti
Per quanto riguarda l’operatività dei terapeuti lo scambio di informazioni tra specialisti di varia formazione – non essendo credibile una "tuttologia" oggi impraticabile – è estremamente importante per mirare un efficace intervento curativo.
Ogni terapeuta offre individualmente le sue conoscenze e la sua esperienza a servizio di chi soffre, nella piena responsabilità del rapporto medico-paziente.
Al tempo stesso, nella misura in cui si lavora fianco a fianco per elaborare e coordinare delle proposte terapeutiche mirate, si combatte il rischio della frammentarietà e dell’accumulo di interventi, che è invece purtroppo una risultante della iper-specializzazione che domina l’attuale pratica clinica.
Per attuare tutto ciò è necessario un lungo lavoro di gruppo affinché tale coordinamento nasca, in primis, nella mente del terapeuta stesso, rompendo schemi epistemici obsoleti e personalismi narcisistici scarsamente fecondi sul piano della ricerca e della terapia, successivamente nell’attività continua di studi interdisciplinari.
Il lavoro in Rete: l’operatività del Paziente
Il Paziente sempre di più desidera entrare in un rapporto interattivo con il terapeuta, essere edotto, non subire ma collaborare. Dicevamo che il sapere del Paziente ha un valore di primaria importanza. Non mi riferisco a un sapere appreso da ore di navigazione nei siti internet, che spesso è fuorviante, mi riferisco a un sapere intimo, consapevolezza del senso della propria sofferenza e, sperabilmente, delle proprie risorse.
Ma terapeuta e Paziente sono preparati a questa nuova feconda relazione?
Paradossalmente più il Paziente oggi è parte attiva della cura, meno il medico viene preparato a ciò con una formazione adeguata. Da anni portiamo avanti al Cimi studi sul colloquio clinico, su come incrementare la capacità di ascolto, come creare un buon campo terapeutico e una buona alleanza col Paziente, come affrontare le inevitabili difficoltà transferali che nascono da una relazione più approfondita.
Sono temi di grande portata che meritano ulteriore disamina.
Il colloquio clinico
È il primo passo per la creazione di una esperienza terapeutica. Il primo anello della costruzione della Relazione. È fondamentale a questo punto essere consapevoli delle problematiche e delle difficoltà che un colloquio offre, come pure delle aperture e delle potenzialità.
Il colloquio clinico è comune a ogni forma terapeutica, medica di base, medica specialistica, omeopatica, psicologica, corporea: ogni forma di cura ha il suo colloquio specifico, ma ci sono alcuni elementi fondanti che sono comuni al primo colloquio di tutti i tipi di terapie e che non andrebbero mai elusi, tanto meno per ragioni di tempo, come purtroppo avviene in molti casi. L’ascolto presuppone un tempo e uno spazio!
La integrazione terapeutica
Le terapie ad indirizzo sistemico e naturale, in particolare la medicina omeopatica, sono le più indicate in molti dei problemi di salute di quotidiana frequenza.
Nei casi dove l’emergenza clinica richiede una pluralità di interventi e la medicina allopatica deve intervenire chirurgicamente, radiologicamente o farmacologicamente, può essere affiancata eventualmente da terapie naturali di sostegno e – qualora il malato sia desideroso di cercare il senso della sua condizione esistenziale – da un processo di ricerca interiore.
Nell’ambito del CIMI lavoriamo da molti anni su tutti i temi fin qui esposti.
Alla luce di quanto scritto è nostra intenzione fornire a terapeuti, interessati a sviluppare queste problematiche, la formazione e gli strumenti necessari per incrementare le proprie capacità di creare buone relazioni terapeutiche.